Ha chiuso ieri l’edizione di quest’anno della Biennale d’Arte. Come sapete si svolge ogni due anni (perché si alterna con la Biennale Architettura), come forse non sapete - perché non ricordo se l’ho scritto qui, nelle puntate precedenti e comunque potreste non ricordarvelo - la Biennale è uno tra i cinque o sei motivi per cui sono venuta a vivere a Venezia. Prima di trasferirmi in città venivo abbastanza regolarmente a farmi un’infornata d’arte di due giorni, e proprio dopo l’ultima volta, nell’ottobre del 2019, mi ero ripromessa di venire a vivere qui. La Biennale e l’aria che respiravo a Venezia in quei giorni mi hanno chiamato come una sirena. E questa del 2022 era la prima Biennale d’Arte (perché un’altra edizione di Architettura c’era stata l’anno scorso e un’edizione speciale al Padiglione Centrale nel 2020) che visitavo abitando in città . Un’occasione doppiamente speciale per me, quindi, coronata in un certo senso dalla curatela di Cecilia Alemani: voglio dire che sono particolarmente contenta che proprio questa sia stata la Biennale che ha inaugurato la mia visita da proto-veneziana.
Come l’elefante di Katharina Fritsch, mi sono ritrovata sperduta e meravigliosa(ata) nella prima sala del Padiglione Centrale dei Giardini.
Non sono una critica d’arte, anche se d’arte sono appassionata da sempre, e quindi questa non sarà una disanima artistica della Biennale, che lascio ai critici di professione di quest’ambito. Mi limito a dire le emozioni che la curatela di Alemani mi ha suscitato, tenendomi ben lontana anche dalle solite polemiche e lotte incrociate.
Come ormai sarà noto, sia a chi è venuto in visita sia a chi non è venuto ma è attento a queste manifestazioni, Alemani aveva introdotto un elemento di discontinuità interessante in questa edizione, da molti interpretato come conservativo e troppo storicistico: negli spazi di Giardini e Arsenale erano presenti cinque capsule che prendevano in considerazione determinate epoche artistiche (dal surrealismo alla computer art) e riequilibravano i pesi di rappresentazione tra i generi. In parole povere, le capsule presentavano opere di artist* donne o non binari*.
L’effetto su di me è stato quasi dirompente. Non mi sono mai considerata a tutti gli effetti un’artista, ma ricordo bene la sensazione da ragazzina di non essere rappresentata, almeno fino alle lezioni di Storia dell’Arte Contemporanea all’università . Qui c’erano stanze intere che riportavano al centro artiste donne, dimostrando che ci sono sempre state (almeno dalle avanguardie novecentesche in poi) e hanno continuato però per decenni a essere nascoste, dimenticate, ridotte al silenzio. Anche solo per questo per me questa Biennale è stata fenomenale.
Da un punto di vista non so bene se ancora più o un po’ meno (ma comunque sempre consistentemente) personale, questa era una Biennale piena di disegno, anche molto pittorica e scultorea ma in ogni caso figurativa, pochissima video arte (segnalo un’unica cosa nella galleria più sotto che mi è molta piaciuta). In generale mi è parsa una Biennale meno arroccata ed enigmatica - pur riuscendo per me a raccontare molto bene un’altra dicotomia tra le più resistenti in ogni campo: razionalismo/irrazionalismo - e forse questo è confermato dal numero impressionante di visitatori di quest’anno, non ne avremo mai la conferma.
Dopo i giorni dell’inaugurazione, in cui avevo fatto una prima veloce perlustrazione, sono poi ritornata a guardarmi tutto con calma solo in queste ultime settimane e qui appunto un paio di cose che potrebbero essere utili alla me futura ma anche a futuri visitatori:
se si vuole vedere tutto (Giardini e Arsenale, Padiglioni compresi) possono forse bastare due giorni e le due entrate del biglietto, ma bisogna avere buona resistenza. Io ho fatto tutto con due biglietti e quattro ingressi da circa quattro ore ciascuno. Valuterò la prossima volta delle formule di abbonamento;
avendone la possibilità è meglio non comprimere troppo temporalmente e guardarsi tutto spazialmente;
non ho visto niente degli eventi collaterali in città e questo è un peccato, ma si ritorna al punto precedente;
in ogni caso a me la Biennale fa bene, e quest’anno è un piacere averla potuta vedere (e qui intendo anche la gente che circola per i sei mesi di esposizioni) da vicino e con calma.
Qui sotto vi lascio poche proposte tra le cose che mi hanno colpito di più.








da sinistra a destra, dall’alto in basso:
Ovartaci
Miriam Cahn
Aneta Grzeszykowska
Birgit Jürgenssen
Belkis Ayón
Egle Budvytyté
Solange Pessoa
Louise Bonnet